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Un disegno e l’abbraccio dei miei figli


di Suela Arifaj

Mi sento confusa. Ho tante domande. La TV che dà sempre aggiornamenti sul “demone consuma vite” e lo Stato sembra impassibile. Intanto chi sta in carcere come me vive dandosi forza con 10 minuti di telefonata per sentire la propria famiglia e un’ora settimanale di Skype. E’ dura vivere così. E come noi ci sono tante persone che sentono i loro cari tramite il telefono.
Prima di questo demone fare un’ora di colloquio ti dava forza per affrontare la quotidianità: abbracci che ti scaldano il cuore e l’anima. Ora ci sono medici e infermieri che sacrificano le loro vita per le persone ammalate e che anche a loro manca un abbraccio da condividere con i loro cari. E poi anche le forze dell’ordine: anche loro in servizio lontani dai comuni di residenza e che fanno il possibile per garantire la sicurezza di ciascuno di noi.


Siamo esseri umani, siamo tutti un popolo, tutti impauriti e tristi. Ma dobbiamo avere speranza. Come la speranza che hanno trasmesso con un piccolo gesto i miei figli: un arcobaleno su un lenzuolo bianco con su scritto andrà tutto bene. Penso a loro costantemente e a tutti i bambini che vedono la speranza e che sperano che tutto questo passi e finisca. E io vedo e cerco di vedere la speranza e la luce in fondo al tunnel. Penso al sorriso di tutti i bambini che si vivono le loro mamme e i loro papà a tempo pieno, a tutti i biscotti sfornati caldi, alle favole lette, ai disegni come quello donato ai miei figli al carcere di Chieti. Non scorderò mai il giorno in cui l’appuntato mi ha consegnato il lenzuolo disegnato dai miei figli e il viso e le emozioni che ho visto in ciascuna delle ragazze: dolore, tristezza, disperazione e paura di non farcela. E ci si trova a domandarsi:  adesso come posso essere utile?. La mia risposta e stata quella di fare un dolce da condividere tutte insieme e cercare di trasmettere speranza e trovare la forza e cercare nel cuore pieno di dolore un po’ di consolazione da donare come l’hanno trovata i miei bambini e dire con forza: andrà tutto bene.
Siamo anche noi esseri umani e con speranza mi rivolgo alle istituzioni affinché trovino l’umanità e operino per fare qualcosa contro il sovraffollamento facendo leggi che non siano il solito scaricabarile come la 199 appena un po’ aggiornata.
Rieducare è aprire a misure alternative e dare speranze, soprattutto concrete. Speranza è anche questo. Si può migliorare nella vita anche perché se così non fosse sarebbe come dire che tutto il corpo della polizia penitenziaria, gli educatori, gli  psicologi e gli assistenti sociali hanno fallito nel loro lavoro. In tanti anni di carcere ho visto il loro impegno e questo anche nelle situazioni più difficili, ma penso che hanno le mani legate. E gli stessi direttori  che lottano per far comprendere allo stato che non si può fare finta di niente in un momento del genere.
Io sono il mio destino. Non smetto di sperare: prima o poi le grida di aiuto verranno ascoltate perché siamo tutti esseri umani. Ho l’assoluta consapevolezza che chi sbaglia ha comunque diritto a un’altra possibilità.
Un giorno d’estate, dopo la pioggia, vedrò che l’arcobaleno ci permetterà di uscire. E allora potremo abbracciare le nostre famiglie e scoprire di nuovo di essere umani.

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