di Francesco Lo Piccolo
In questi tempi di pandemia è utile ripensare a Erving Goffman (1922-1982) e alla sua definizione “un’istituzione è totale quando ha un potere particolarmente inglobante sull’individuo”. Quattro, in particolare, secondo lo studioso canadese, sono le caratteristiche di una istituzione totale, ovvero 1) ogni attività si svolge nello stesso luogo e sotto la stessa autorità; 2) gli individui svolgono quotidianamente delle attività per gruppi numerosi, sotto la stretta sorveglianza da parte dello staff dell’istituzione; 3) vi è un sistema di regole ferree e ripetitive che scandiscono le varie attività e fanno scaturire così una standardizzazione dei comportamenti; 4) lo svolgimento di tali attività è diretto al perseguimento dello scopo ufficiale dell’istituzione. Queste quattro caratteristiche sono descritte in una opera imponente che si intitola Asylums e che parla di prigioni e di ospedali psichiatrici e dunque parla di persone che vengono richiuse dentro spazi predefiniti nei quali sono costretti a vivere e dai quali non si può uscire. E dove viene innanzitutto spogliata ogni identità.
In questi tempi di pandemia è utile ripensare a Erving Goffman (1922-1982) e alla sua definizione “un’istituzione è totale quando ha un potere particolarmente inglobante sull’individuo”. Quattro, in particolare, secondo lo studioso canadese, sono le caratteristiche di una istituzione totale, ovvero 1) ogni attività si svolge nello stesso luogo e sotto la stessa autorità; 2) gli individui svolgono quotidianamente delle attività per gruppi numerosi, sotto la stretta sorveglianza da parte dello staff dell’istituzione; 3) vi è un sistema di regole ferree e ripetitive che scandiscono le varie attività e fanno scaturire così una standardizzazione dei comportamenti; 4) lo svolgimento di tali attività è diretto al perseguimento dello scopo ufficiale dell’istituzione. Queste quattro caratteristiche sono descritte in una opera imponente che si intitola Asylums e che parla di prigioni e di ospedali psichiatrici e dunque parla di persone che vengono richiuse dentro spazi predefiniti nei quali sono costretti a vivere e dai quali non si può uscire. E dove viene innanzitutto spogliata ogni identità.
Mura e Mascherine
A partire da queste considerazioni, nel ripensare a questi
spazi “concentrazionari”, le immagini che accompagnano questi concetti sono
immagini di mura che chiudono e dividono e che infine proteggono una parte da
un’altra parte. Mura concrete e ben visibili, ma anche mura ideologiche che
separano i salvati dai sommersi (per usare una definizione di Primo Levi però
riferita unicamente a coloro che sono dentro il sistema concentrazionario).
Mura ma anche maschere come quelle che venivano usate dai medici della peste, o
mascherine come quelle che oggi indossano milioni di individui per salvarsi (o
per salvare) dalla propagazione del covid-19. Mura e maschere come strumenti di
protezione e sicurezza; mura e maschere come strumenti che coprono se stessi e
gli altri dai rischi e dai pericoli. E che “è giusto indossare anzi doveroso
perché siamo nella stessa barca”, una barca dove dall’oggi al domani la
spoliazione di ogni identità, il controllo sociale e l’omologazione sono
sorvegliati e conseguentemente garantiti da droni, elicotteri, forze di
polizia, vicini di casa. Tutto legittimato come legittimate sono le istituzioni
totali descritte da Goffman. In difesa, a protezione della vita che è la vita
di tutti.
E qui viene normale chiedersi: questa è davvero la vita di
tutti? E quel tutti è davvero così generalizzato, uniformato e uguale? E la
barca è davvero la barca di tutti? E non c’è forse chi sta nella stiva e chi
nella cabina posta sul ponte di comando?
Ho davanti a me le carte del mondo, quella di Mercatore
(perfetta per i naviganti, imprecisa nelle proporzioni, poco realista e
coloniale) e quella di Peters (con il Sud disegnato con la stessa importanza
del Nord). E osservo le carte in riferimento alla popolazione e ai numeri
relativi alla ricchezza. Riporto i dati del rapporto di Oxfam pubblicati il 19 gennaio di
quest’anno: l’1% più ricco, sotto il profilo patrimoniale, deteneva a metà 2019
più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone.
Ribaltando la prospettiva, la quota di ricchezza della metà più povera dell’umanità
- circa 3,8 miliardi di persone - non sfiorava nemmeno l’1%. Nel mondo poco più
di 2 mila multimilionari ( 2.153 per essere precisi) detenevano più ricchezza
di 4,6 miliardi di persone, che corrispondono a oltre il 60% della popolazione
globale.
Ma è utile in questo discorso tenere conto anche di altri
dati. Come ad esempio che: 2,1 miliardi di persone (su 7 miliardi e mezzo) non
possono accedere a fonti sicure di acqua potabile; 2,3 miliardi di persone non
possono usufruire di servizi igienico sanitari; 842 mila persone muoiono per
aver contratto malattie attraverso l’acqua contaminata; quasi mille bambini al
giorno al di sotto dei 5 anni muoiono a causa di diarrea per aver consumato
acqua sporca; solo di malaria ogni anno muoiono circa 1,5 milioni di persone
(il 90% bambini); in Africa si concentra il 16 percento della popolazione
mondiale ma solo l’1 percento della sua spesa sanitaria. Tanto per capirci, in
Africa ci sono 2 medici per 10mila persone, mentre in Italia ce ne sono 41, con
un divario di 18,1 anni nell’aspettativa di vita con i paesi ricchi
dell’Occidente. Per evitare generalizzazioni (il solito errore) è comunque bene
dire che anche in Africa ci sono aree ricche e aree povere.
Le morti che non contano
Ovviamente, parlare di vita significa anche parlare di morti
per guerre: decine di focolai con centinaia, migliaia, milioni di vittime,
soldati e civili: due milioni le vittime di guerra dal 78 in Afganistan, altri
due milioni in Iraq, mezzo milione in
Siria in meno di 10 anni, altro mezzo milione in Somalia, cento mila nello
Yemen… Una lista senza fine e alla quale possono essere aggiunti la crisi
libica, il conflitto israelo-palestinese, quello tra turchi e curdi, quello in
Messico per il controllo della droga… Tutte uguali alle popolazioni del ricco
occidente queste che popolano i paesi del Sud del mondo?
E anche questo, dunque, è il nostro mondo.
O meglio, questo è l’altro mondo che l’occidente non considera affatto o, per
essere precisi, considera solo in termini di risorsa… come luogo dal quale
estrarre i componenti per far funzionare computer e smartphone, come risorsa
energetica per far viaggiare le proprie auto e i propri aerei, come area dove
vendere le proprie armi, come pattumiera dei propri rifiuti. E dove si muore ma
non si fa notizia, perché tutto quello
che avviene in quei luoghi viene visto soltanto in Tv, come una fiction senza
essere una fiction, “riduzione televisiva” a quello che fanno le grandi
potenze, ai numeri, assieme ai dati sull’occupazione, ai delitti, agli
immigrati e così via. Tutto ai minimi termini… anche la guerra, in diretta, ma
contraffatta, al pari di un videogioco. Una grande messa in scena, tra una
pubblicità e l’altra, tra un dibattito e l’altro, tra calamità naturali e aiuti
umanitari… Tutto medializzato e tutto
normalizzato fino al punto da non saper più cogliere la sofferenza patita da
chi viene identificato con l’altro.
Il Panopticon
In definitiva è quello che avviene oggi
nell’emergenza da coronavirus con la conta dei morti e con l’aggiornamento
minuto per minuto. Senza con questo sminuire sofferenze, dolore e pericolo
reale di contagio, ecco in scena la quotidiana dose di raccapriccio e buonismo
per rafforzare la coesione interna e normalizzare la vita, questa vita che la
morte non può più sopportare. A meno che non sia quella degli altri…il più
lontano possibile da noi. Maschera e guanti e distanziamento sociale unica
ricetta. Tutti costretti a stare a casa, obbligati ad uscire solo per acquisti
alimentari e costretti a mostrare a polizia, carabinieri o esercito il modello
di autocertificazione. Modello somigliante al massimo grado con la domandina
che viene imposta ai detenuti per poter avere un libro o un nuovo spazzolino da
denti, oppure solo per poter parlare con un educatore, con il direttore o con
il cappellano del carcere. Non più cittadini e non più persona con diritti, ma
sudditi con doveri e obblighi di
obbedienza. A rischio di contagio e di morte ma esclusi dal diritto della vita
e della salute da chi li vuole incarcerati (potere esecutivo, giudiziario,
legislativo, mediatico). Ignorati, cancellati, infantilizzati e privati della
capacità e del diritto a decidere per essere addestrati all’obbedienza cieca,
senza nessun coinvolgimento attivo. Da una parte l’ordine di chi comanda e all’altra
parte l’obbligo di chi deve obbedire. Succede da sempre nelle carceri, succede
ora nelle città colpite dalla pandemia. Addio
buon senso, ragione, riflessioni del tipo: in spazi aperti, su una
spiaggia da soli (anche con la mascherina) si corrono meno rischi che restare a
casa o all’interno di un ufficio o in una fabbrica con tante altre persone
costrette a respirare la stessa aria per ore e ore. Individui oggetto, meri
strumenti della politica e dell’economia, mezzi e strumenti non più fine. E in
tutto questo è più che mai funzionale la fabbrica dei media. Ore e ore di
trasmissioni Tv a parlare di guerra e di un nemico da battere, tutti in
mascherina per coprire anche la ragione e per mostrare il solito spettacolo con
l’inviato davanti all’ospedale per intervistare il primario sul numero dei
morti e sulle cure avviate. In Italia ci sono duecento carceri, nelle carceri
ci sono poco meno (adesso) di 60 mila persone:
i giornali in maschera lì non ci vanno a chiedere ai direttori quale è
la situazione. E naturalmente non interrogano. E nessun confronto con i morti
sul lavoro (un migliaio nel 2019), o con le vittime dell’Ilva (oltre 21 mila
nuovi casi di tumore registrati dall’Asl di Taranto tra il 2006 e il 2012).
Il sistema sanitario
Un fatto è importante dire adesso: la
pandemia Covid-19 sarebbe potuta essere controllata se negli anni non ci fosse
stato questo smantellamento del sistema sanitario pubblico a favore del privato
e se ci fosse stato uno screening sistematico delle persone infette sin
dall’inizio dei primi casi. Il profitto prima di tutto, le deforestazioni, le
trasformazioni in Cina di intere aree periferiche in capitali industriali hanno
infine permesso e favorito il salto di specie del virus dal pipistrello
all’uomo.
Gianni
Tamino, docente emerito di Biologia
generale all’Università di Padova, già deputato ed europarlamentare e oggi
membro dei Comitati Scientifici dell’Associazione medici per l’ambiente- ISDE
l’ha spiegato bene: “I cambiamenti climatici e la riduzione delle foreste con
l’alterazione degli habitat di molte specie animali mettono sempre più
facilmente a contatto animali selvatici con esseri umani, un contatto ancora
più stretto quando questi animali vengono catturati per essere venduti in
mercati affollati, rendendo più facile il salto di specie per i loro patogeni
(si pensi al virus di ebola). Inoltre gli allevamenti, in particolare di polli
e suini, con concentrazioni di molti capi in spazi ridotti, alimentati con
mangimi contenenti antibiotici, favoriscono una forte pressione selettiva sui
loro virus e batteri, che mutano velocemente verso ceppi e tipi più aggressivi
anche verso la specie umana, come è avvenuto per l’influenza aviaria e suina.
Un ulteriore contributo alla diffusione di agenti patogeni è dato poi dalla
globalizzazione, che, grazie al frenetico trasferimento in ogni parte del
pianeta di persone e merci, favorisce il passaggio da epidemie a pandemie”.
Ancora Tamino: “La pandemia del virus
Covid-19 era prevedibile e ampiamente prevista, se non proprio nei termini e
nei tempi precisi, sicuramente come evento probabile. Già nel 1972, nel
rapporto del MIT per il Club di Roma, dal titolo “I limiti dello sviluppo” si
affermava che se la popolazione mondiale continuava a crescere al ritmo di
quegli anni, la crescente richiesta di alimenti avrebbe impoverito la fertilità
dei suoli, la crescente produzione di merci avrebbe fatto crescere
l’inquinamento dell’ambiente, l’impoverimento delle riserve di risorse naturali
(acqua, foreste, minerali, fonti di energia) avrebbe provocato conflitti per la
loro conquista; malattie, epidemie, fame, conflitti avrebbero frenato la
crescita della popolazione”.
Ma al Panopticon mondiale questo non
interessava e non interessa. Per il profitto e a favore del profitto di una
parte dell’Occidente, la cosa importante resta una: regolare il comportamento
umano e ad organizzarlo. In questa ottica ecco agire insieme morale, religione,
diritto, costumi, educazione, rappresentazioni collettive, valori, opinione
pubblica, ovvero l’esercito ideologico da sempre al lavoro con tutti quei
dispositivi che producono e controllano costumi, abitudini e pratiche
produttive sanzionando e/o prescrivendo i comportamenti devianti e/o normali. .
Le disuguaglianze
Come andrà a finire tutto ciò è già ben
evidente in questi giorni: fase 2, fase 3, la stretta si rallenterà, tutti
attrezzati con guanti e mascherine faremo ripartire il mondo dei soldi e il
finanzcapitalismo ben descritto da Gallino. E la salute e i morti torneranno ad
essere gestibili e fonte di profitto. L’anormalità del lockdown, sarà sconfitta
e si tornerà alla normalità che è la prima causa dell’attuale pandemia. E si
tornerà nei centri dello shopping per la nuova camicia o il nuovo pantalone, pur avendo magari
l’armadio pieno, ma costretti al nuovo acquisto dalla moda, da quel meccanismo
dell’industria tessile per vendere quei nuovi prodotti in sostituzione dei
“vecchi”. Tutto cambierà per non cambiare nulla o meglio per accentuare le
divisioni di classe, più disuguali di
prima, di qua i senza febbre e di là i possibili untori, di qua i salvati e di
là i sommersi, di qua i noi e di là gli altri. Comunque tutti controllati e
tracciati per la “nostra” sicurezza, per una vita che non è la nostra ma quella
di questo status quo.
Illusi di aver battuto il virus e la morte
(senza saper accettare che sia parte della vita), affidati ai nuovi
stregoni, si continuerà (con l’appoggio
di media e penale) a non vedere il concentrazionario che ritorna.
Quanto al futuro, sempre più prossimo e
sempre più senza ritorno, per avere conoscenze e informazioni dirette basterà
seguire il Science and Security Board del Bulletin of the Atomic Scientists che
ogni anno ci aggiorna con il Domsday clock
sullo stato dell’arte. Oppure
basterà rileggere Philip Dick, P.D.
James, Azimov o rivedersi “la notte dei morti viventi” di G. Romero.
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