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Il dono/Sul nulla a caso e sull’origine del coronavirus


di Dario Masini

Ho cercato sul vocabolario etimologico la “parola” pipistrello, ed ho appreso che proviene dal latino “vespertilio”, che a sua volta viene da “vesper”, sera. Il pipistrello vola nella notte, ed esce dalla caverne, che ne costituiscono l’ambito naturale in cui vive raccolto con i suoi simili. Il “pipistrello” evoca una paura, un timore, che diviene quasi incontrollabile, quando ti ci senti aggredito.
Nella mia vita ho sempre pensato che “nulla è a caso”, e che quindi il Signore, “non a caso”, può avere scelto il pipistrello, e non la lontra, per mandarci questo covid 19.
L’altra notte ho fatto un sogno, di una quindicina di persone che salivano su di un monte, su di una larga strada, che sotto di loro facevano ruotare con i piedi un rullo, sul quale quindi salivano la strada, e sopra di loro, tenevano un altro rullo, a braccia alzate, che ruotavano con l’azione delle loro mani.

Dopo alcuni metri del “salire”, si aggiungeva un’altra squadra di persone alcune delle quali si poneva ad aiutare quella prima quindicina per muovere il primo rullo con i piedi e il secondo rullo con le mani, mentre un’altra parte del gruppo, portava con se un altro rullo, e  si ponevano (saltando su) sopra il secondo rullo, mettendosi a roteare, con i piedi il secondo rullo e, con le mani e a braccia alzate, il terzo rullo, elevato su di loro.
E quindi sopraggiungeva, dopo qualche altro metro di salite sulla montagna, un’altra squadra, che si ripartiva, una parte tra il primo e il secondo rullo, un’altra parte tra il secondo e il terzo rullo, e un’altra parte, più consistente, per far girare, con le stesse modalità che ho precedentemente descritto, un altro rullo, che avevano portato con sé. E così il gioco continuava, e mi sembrava incredibile come si facesse  a portare nuovi rulli sempre più su, in una pila che si accresceva, man mano che si saliva per la strada che si innalzava su per la montagna.

Ne veniva fuori un meccanismo, che sembrava un pallottoliere gigante in movimento e in innalzamento continuo, e che obbligava gli uomini alla frenesia di ulteriori muovere di rulli, in un percorso che non conduceva “a nulla”.
Ho collegato questo sogno al “coronavirus” e mi sono  permesse le seguenti “riflessioni”, su quanto c’è da imparare per questa umanità in questo periodo di tempo : non a “caso”, e quindi diversamente da come certi scienziati credono che la natura, le trasformazioni, avvengano a “caso”.
Non voglio assolutamente, chiamando il coronavirus un “dono”, offendere le sofferenze e la fine di migliaia di uomini e donne, ma cercare il senso:  delle loro sofferenze, della loro fine, e del nostro “fermarci”. Considero questo momento l’occasione giusta per “meditare”, “pregare”, “chiedersi”. Considero questo momento giusto per riposarci gambe e braccia stanche  dal girare questi “rulli” che, dall’inizio dell’età industriale, siamo costretti a ruotare, e che costituiscono un ingranaggio che rende indissolubile l’endiade   uomo – macchina.
Confido nella benevolenza di chi mi legge, ma non potevo essere “altrimenti” che schietto. Il pipistrello vive nelle grotte, nel buio, nell’inesplorato. In questo mondo, che noi fuggiamo e di cui non riusciamo a gustarne la bellezza, e che ci scorre come un “baleno”;  nel nostro frenetismo, “è” giunto fino a noi il “coronavirus”, e ci ha imposto la “stasi”. Questo virus, proviene dal nostro ignoto, dal nostro buio, e squarcia le nostre vite, le ferma, e non avremmo mai pensato che così, da un momento all’altro, qualcuno o qualcosa fosse stato abbastanza forte da poterci fermare. La notte è giunta fino a noi, con un virus evoluto, che dal pipistrello si è trasformato adattato a noi, e, “andandosi”  “venendosi” a noi, ci colpisce.
Ma la “notte”, poteva essere anche prima, quella della nostra Anima, di chi, senza rendersi conto, viveva la propria vita girando e  girando, con le mani e con i piedi, i continui rulli della torre “uomo – macchina” che salivano fino al “niente”. Il coronavirus si pone come un precursore di morte, che impone un alt al nostro pedalare, mani e piedi, e ci mette nella condizione di osservare (e di non essere più parte del)le torri che avevamo noi stessi creato, i meccanismi che pensavamo inarrestabili.
Quando viene il tempo (della “morte”), finisce il tempo dell’attesa, e quel tempo dell’attesa non c’è più,  e quel tempo della morte non c’è mai stato: pedalavamo come forsennati, mani e piedi, e forse è ora il caso di osservarci, anche sul “senso” da dare alla nostra vita.
Tra 0 (“nascita”) e 0 (“morte”) il pendolo della nostra vita da schiavi, ha intercettato questo intruso, il coronavirus, che ora è “qui”. “Qui” occasione perfetta affinché questa “Ora” sia per “Noi” riflessione.
Mentre scrivevo questo articolo,  ascoltavo (su youtube) il libro di un filosofo, un giovane ragazzo di Gorizia, che si chiamava Carlo Michelstaedter, il cui libro (tesi per la laurea) “La persuasione e la retorica” mi colpiva profondamente. Questo ragazzo, che si uccise a 23 anni, intuì le finzioni delle vite di quella parte dell’umanità  che seguiva la retorica, ossia le linee di condotta dettate da altri, come se fossero asini alla ruota che macina il grano. Il “ragazzo” aveva intuito il valore di una vita in cui seguirsi, e fare ciò di cui si era veramente persuasi e non per comodità, farsi “schiavi”.
Eppure, questa riflessione così bella e semplice non gli bastò per evitare di suicidarsi, a 23 anni, con un colpo di rivoltella.
Il riflettere è guardare un’immagine, e quindi ancora illudersi, quasi che la proiezione di sé, si possa pensare  essere Sé, sol perché ci si è guardati per molto tempo allo specchio;  come se si volesse prendere con le mani, un sogno, una proiezione, una fiamma creata dalla nostra immaginazione: l’immagine mai ci appagherà. Questa immagine mai sarà Noi. Questa immagine continuerà a correre, sempre, in un futuro che non porta altro che alla morte.
Perenne alla nostra vita, abbiamo fatto parte del meccanismo dei rulli che girano e girano, e che non ci hanno dato la possibilità di: “voler vivere pienamente”. E questo rincorrere, su per la montagna, la nostra vita, la nostra meta-obiettivo, renderà la vita insoddisfacente, insoluta, vuota, stancante, tremendamente stancante.

Così Carlo Michelstaedter probabilmente non voleva diventare schiavo di quel Moloch uomo – macchina, e non assuefarsi a vivere legato, mani e piedi, a rulli da far girare, solo perché questa è la nostra cultura (industriale / economica / finanziaria / sociale / religiosa) che ci detta le regole.
Anche io ho vissuto la sofferenza, quando ero adolescente, per un amico morto suicida, e questa esperienza mi ha condizionato la vita. E ho voluto cercare una vita che non fosse né quella dell’automa parte del Moloch, né quella (non vita) del suicidio, come quella di quel mio amico, troppo sensibile per accettare di mettersi da solo le briglia di chi fa le scelte per convenire agli altri.
Quasi che chi si suicida decida di autoelinarsi,  mettendosi nel cestino di rifiuti di questo Moloch che il mio sogno ha richiamato. Una vita vera, perché chi finge, non esiste. Ora dalla notte, è venuto il pipistrello. 
Il pipistrello ci ha portato questo “dono”, questo virus, questo fermarsi. Per riflettere non più al nostro specchio, per fermarsi, per ascoltarsi, senza orecchie per vedersi, senza occhi, per andare Oltre.
Cascasse pure questo infernale meccanismo dei rulli uomo - macchina. Che cosa è questa vita? Nel buio assoluto non vedo più quello specchio, quello specchio che mi dava quell’immagine che dicevo di essere me e che era pronto a rincorrere la felicità su di quel monte che non portava a nulla, come la carota dell’asino che macina il grano del mulino.  E non ho più nessuno da rincorrere, nessuna altra illusione da perseguire.
E forse questa la Via? E forse questo il dono del pipistrello? Forse, non è il suo riflettere: è fermarsi, chiedersi, liberarsi dalla “schiavitù” (e  si dovrebbe ricordare che la Cina è luogo di schiavi e di schiavisti, da cui abbiamo importato merci inquinate e dopate da 20 anni e che schiaccia il Tibet sotto il peso di una crudele tirannia). Crolla la figura, cade il burattino, stanco del continuo pedalare, si ribella alla schiavitù millenaria, rivendica la vera Vita: quel Moloch deve cadere, crollare, ed è la consuetudine di fare ciò che non si sente e a cui non si crede (quanti Gertrude/Monaca di Monza ci stanno in noi ? 

“La vera risposta a una tale domanda s’affacciò subito alla mente di Gertrude, con un’evidenza terribile. Per dare quella risposta, bisognava venire a una spiegazione, dire che era stata minacciata, raccontare una storia… L’infelice rifuggì spaventata da questa idea; cercò in fretta un’altra risposta; ne trovò una sola che potesse liberarla presto e sicuramente da quel supplizio, la più contraria al vero :  “Mi fo monaca, – disse, nascondendo il suo turbamento, – mi fo monaca, di mio genio, liberamente”.


E si può ora sperare, sperare di potere vivere la vita, qua e ora, nel presente!  
Viver persuasi, e non più di retorica, cercando ed ascoltando la propria profondità, oggettiva, di Amore, in cui “nulla è a caso”. Sei arrivato alla cima della montagna, e germoglia il sole. Quello che, da prima di zero a dopo di zero coesiste nel mezzo:  “Tra il cielo e la terrà nessuno è più sacro di Lui”. Lui, l’Esistente.

Dario Masini è avvocato penalista, Foro di Roma, studioso di storia e filosofia

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