di Rita De Petra
Così siamo
stati catapultati in una distopia planetaria senza che un genio la tirasse
fuori dalla lampada, o dalla penna. Un genio a cui si possa chiedere di
scrivere: «e una mattina, agli inizi di novembre si annunciò che il male era
stato eliminato». Da un giorno all’altro ci siamo ritrovati agli “arresti
domiciliari”, limitati nelle cose più semplici come fare la spesa, o privati
del piacere di una passeggiata. Abbiamo riscoperto i balconi per comunicare coi
vicini e il telefono per tenerci in contatto con le persone che amiamo, ma la
nostra condanna somiglia a un “sine fine” e viviamo in un tempo contratto,
rattrappito su se stesso, sommersi da una valanga di consigli su come
impiegarlo; letture innanzitutto, e cosa si consiglia? Camus, Saramago, Marquez,
forse con una punta di sadismo pedagogico: ve lo avevano detto e voi non ci
avete voluto credere! Autori che amo profondamente e a cui aggiungo un altro,
ahimè, poco noto: Rafael Argullol e il suo romanzo La Ragione del Male,
pubblicato in Spagna nel 1993 e in Italia dalla Lindau nel 2018, solo 25 anni
dopo.
L’autore, che ha studiato a Roma, ha pubblicato nel nostro paese la sua
prima opera: Lampedusa. Una storia mediterranea (1981). Ricchissima la
produzione letteraria di Argullol, professore di Estetica e Teoria delle Arti,
filosofo, giornalista e autore che attraversa tutti i generi, dalla poesia di
Poema, all’opera lirica de L’enigma di Lea, all’autoritratto in fieri della
Visiόn desde el fundo del
mar; opere che leggeremmo volentieri, se solo conoscessimo lo spagnolo.
Tornando
al romanzo, senza farci fuorviare dal titolo e dal termine Male, che nella
nostra cultura ha assunto un significato metafisico ed etico - religioso,
spesso identificato col peccato, vediamo che il tema è una malattia sconosciuta
e pertanto incurabile e, dovendo dare un nome ai malati, le autorità coniano il
termine “disanimi”, l’unico che sembra descrivere «il freddo improvviso» che si
impadronisce di Victor, il nostro protagonista, quando per la prima volta ne
incontra uno per strada, a distanza ravvicinata, e cerca di incrociarne lo
sguardo: «erano occhi opachi, senza luce, portatori di una repulsione ancorata
in profondità lontane». Victor Ribera, artista fotografo, ci guiderà attraverso
la pandemia che imperversa su questa città, di cui non conosciamo il nome, resa
simbolo della realtà tutta. Del resto molti autori scelgono la città come
termine di riferimento, poiché intendono studiare le reazioni dei singoli
individui, della società, del potere, mentre noi oggi abbiamo la possibilità di
osservare intere comunità, nazioni e capi di stato e comprendere quale
considerazione nutrano per gli esseri umani.
Con
Victor c’è l’amico, David Aldrey psichiatra, il primo a venire in contatto con
i malati; egli vive tutto il dramma di chi ha il compito della cura ma non le
conoscenze teoriche, pratiche e metodologiche per farla, né si fa mai alcun
cenno, nel corso degli eventi, ad alcuna ricerca, ci si accontenta del già dato
e questo di per sé è una sconfitta della medicina; eppure la sintomatologia è
ben chiara: gli esanimi perdono la vitalità e quindi qualsiasi interesse per la
vita; la causa? Viene esplicitata subito: «Era una città che, a giudicare dalle
statistiche pubblicate regolarmente dalle autorità, poteva essere ritenuta a
maggioranza felice.[…] e i segni collettivi della felicità […] hanno a che fare
con il benessere, l’ordine e la libertà.» Benessere e normalità, come pretesa
di felicità mal si accordano con le esigenze umane, che affondano radici in
terreni ben più profondi e mai sufficientemente esplorati ed esigono ben più
del mero benessere materiale.
Tra
i protagonisti una donna, un’artista, che ha il compito di riportare alla vita
originaria le opere d’arte e che sta restaurando un quadro che rappresenta
Orfeo, colto nell’attimo che precede il suo voltarsi indietro verso Euridice,
una speranza dunque perché, se l’inventore del canto e della musica, si basasse
sul suo sentire profondo e per una volta escludesse la vista che coglie solo la
realtà che appare, potrebbe non solo salvare il suo amore e la donna,
condannata a morte, come il mito stesso suggerisce, ma anche darci
l’indicazione sulla strada da seguire per la salvezza.
Tantissimi
i temi trattati, tutti di grande attualità, ma lascio al lettore la gioia della
scoperta: la libertà e la sua fragilità, il potere dei mezzi di comunicazione,
i grandi manipolatori e truffatori come Rubén, «Il Maestro», «mezzo stregone,
mezzo predicatore», marionetta nelle mani di chi gestisce il potere vero,
esaltato finché fa comodo e poi gettato via con disinvoltura. E per chiudere
una bellissima figura del tempo e della memoria, un vecchio, «la sua fragilità,
gli stessi capelli bianchissimi, gli stessi occhi azzurro intenso», incontrato
in una notte di incendi e devastazioni, «che teneva per una mano suo nipote e
con l’altra l’orologio che aveva recuperato» e che si fa egli stesso tramite
tra passato e futuro.
Insegnante di Storia e Filosofia, studiosa di storia della Resistenza e responsabile del Laboratorio Politico di Left Chieti - Pescara
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Grazie Rita per questo fantastico articolo..🌻
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