di
Brenda Toto
In un clima di incertezze e paure, che il
nostro Paese si trova ad affrontare, arriva forte e chiaro l’eco delle parole
di Don Luigi Ciotti (fondatore del Gruppo Abele e di Libera), rivolte ai
singoli e alle istituzioni. L’emergenza sanitaria che stiamo attraversando,
cerca e chiede un impegno costate e duraturo di tutti noi ma, come spiega Don
Ciotti, “non deve farci dimenticare che nel nostro Paese c’è stata una perdita
anzi un’emorragia di umanità”.
Con “emorragia di umanità” il nostro Presidente Nazionale mette in luce
quelli che sono i problemi legati al razzismo, ad un accanimento contro i
deboli, all’aumento della povertà e, di conseguenza, del disagio sociale. Un
richiamo, per tutti, a quel senso di umanità che dovrebbe legare gli uni agli
altri come persone, indistintamente dall’appartenenza, ruolo o posizione
sociale che rivestono ; a prescindere dai problemi che sorgono in una società.
Una ricerca incessante di quella coscienza che torna a farci essere più umani.
Umani nella condivisone di bisogni, umani nel tornare ad ascoltare le
difficoltà e le incertezze di chi vive ai margini, comprese le problematiche
che il nostro sistema carcerario ha al suo interno.
Si pensi alle parole di Don Ciotti dopo la
morte di Stefano Cucchi per arrivare alla verità ma soprattutto per riflettere
sulle implicazioni penali di alcune
norme di legge e sulle stesse politiche che governano gli istituti di pena: “Le
carceri - aveva detto - non possono essere luogo di degradazione, contesti
sovraffollati e fatiscenti dove la dignità e i diritti delle persone detenute e
di chi ci lavora con grande impegno – agenti, educatori, insegnanti, personale
medico, cappellani, volontari - vengono
calpestati. Spazi destinati in massima parte ai poveri cristi: immigrati e
tossicodipendenti”. E continua: “Chi infrange la legge è giusto che paghi le
conseguenze, anche se non va dimenticato che spesso abbiamo leggi a doppio
registro, forti coi deboli e deboli coi forti. In nessun caso però la pena deve
essere afflittiva, non deve dare alla privazione della libertà il sapore della
sopraffazione. È il dettato della Costituzione a stabilirlo, nell’interesse di
tutti: vittime e detenuti, personale carcerario e società intera. Un carcere
umano, capace di coniugare la pena con l’attenzione della persona è un carcere
che non riproduce e moltiplica la violenza”.
L’avvenimento del coronavirus, oltre a
porre in atto un’emergenza sanitaria senza precedenti, come un forte vento ha
scoperchiato quelli che sono i problemi carcerari taciuti da tempo, tenuti
placati e irrisolti. Rotto, così, un falso equilibrio. Il Gruppo Abele assieme
ad altre associazioni ha lanciato un appello al Governo e alle istituzioni, con
l’obiettivo di risolvere una volta per tutte il tema sul sovraffollamento,
riducendo il numero dei detenuti e proteggendo i più vulnerabili. Emergenza,
questa, che già nel 2011 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
aveva chiaramente espresso come materia di preminente urgenza, sia sul piano
costituzionale ma anche civile. È necessario un intervento, perché al centro
del dibattito che in questi mesi è sorto, vi sono argomenti che riguardano la
salute, il rispetto, i diritti, la dignità, l’ uguaglianza; ed in merito a
questi non si può tacere.
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