M.A.
Stiamo
con la speranza che il virus non entri in questo carcere, perché se questo
accadesse morirebbe molta gente e noi qui non possiamo scegliere di non farlo
entrare. Viviamo in condizioni oltre ogni limite di decenza, qui alla Madonna
del freddo di Chieti, siamo costretti a vivere in uno stato di sovraffollamento
assurdo in celle che dire fatiscenti sarebbe un eufemismo!
Alla
sezione maschile ci sono due piani, le celle sono più o meno dieci metri quadri
comprese di bagno e ci viviamo in almeno sei persone, nel bagno (che è largo un
metro e lungo tre) cuciniamo su di un piccolo tavolo e con dei fornelli da
campeggio, c’è una doccia sopra la turca ossia ci laviamo sullo stesso posto dove
uriniamo e defechiamo, dove per lavarci le parti intime abbiamo messo una
grossa bottiglia di ammorbidente facendola passare all’interno un sacco
dell’immondizia che funge da prolunga per far arrivare l’acqua all’altezza
giusta per potersi fare un bidè. In ogni punto della camera detentiva c’è
muffa, le finestra sono senza maniglie quindi non chiudendosi bene ci sono
sempre correnti d’aria, le brande sono di ferro arrugginito, i materassi di
spugna e sono delle vere e proprie colonie batteriche idem per coperte e
lenzuola. Chi poi ha delle possibilità economiche può vivere un po’ meglio
comprando generi per l’igiene delle celle, personali e alimentari, in una
formula molto ristretta vista i pochi elementi messi a disposizione sulla lista
per l’acquisto degli stessi.
Dobbiamo
comunque dire grazie al direttore che con tutto l’impegno sta cercando di non
farci mancare nulla in questa situazione di totale assenza di diritti, ci ha
concesso una chiamata al giorno da dieci minuti l’una, è stato maggiorato il servizio
Skype. Ci stiamo autogestendo nelle attività teatrali e cerchiamo di
partecipare a tutte le iniziative prese dai cittadini liberi. E per essere a
loro vicini, abbiamo cantato l’inno di
Mameli. Credo che fatto da dei carcerati abbandonati dalle istituzioni sia
veramente una grande cosa, ma solo perché in fondo ancora vogliamo credere che
qualcuno si ricordi, di non farci morire qui dentro.
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