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Chiusa in casa comincio a perdere di vista colori e sfumature


di Federica di Giovanni

"Facciamo un esperimento: provate a vivere, per almeno una settimana, come noi, come detenuti. Stop alle vostre cene, aperitivi, palestre, agli incontri con gli amici. Spegnete i vostri smartphone, lasciate da parte il vostro PC, niente riunioni di lavoro, niente sesso con i vostri fidanzati, amanti o quel che siano. Provateci, prendetelo come un esperimento sociale. Poi ci rivediamo e ci raccontate com’è andata".
Queste erano, pressappoco, le parole di un giovane detenuto della casa circondariale di Chieti pronunciate qualche mese fa, durante uno dei laboratori di giornalismo condotti dall’associazione VDD. Interessante! – molti di noi avranno pensato – Originale! - avrà detto qualcun altro – E perché no?
Ignoro se la proposta abbia poi avuto realmente seguito, se qualcuno abbia trovato tempo, voglia e motivazione per realizzare un esperimento simile. Io comunque, di certo non sono fra quelli. Ma ammetto che il mio pensiero, in questi mesi, è tornato spesso a gironzolare  attorno a quelle parole. Ed oggi più che mai, quest’idea torna a battere nella mia testa.

In questa nuova condizione con la quale siamo costretti a fare i conti in questi giorni, rintraccio diversi punti di contatto con l’esperimento che ci suggeriva il nostro amico.  Un esperimento che la realtà ha trasformato in una specie di immenso test universale che avvicina tutti, ma proprio tutti, al concetto metaforico e reale di limitazione della libertà, seppur in forma edulcorata e ridotta. Di fronte a questo tempo, mi pare di distinguere due principali reazioni, corrispondenti ad altrettanti tipi umani: quella dei nostalgici-reazionari e quella degli immanentisti. Chiaramente, la mia riflessione è rivolta a tutti coloro i quali hanno avuto la fortuna di non essere colpiti e coinvolti direttamente dal Virus, ma di averne subito solo gli effetti indiretti legati alla limitazione della libertà. Per tutti gli altri, lascio spazio al silenzio, laddove qualsiasi parola risulterebbe inadeguata.
Tornando ai nostri tipi umani: i primi, vorrebbero tornare esattamente lì dove hanno lasciato in sospeso tutto. Sono quelli presi da una smania di libertà: vorrebbero evadere, ‘cambiare aria’ e scenario, negare l’assurdo ch’è nel mondo con una canzone urlata dal balcone. Ho il sospetto che la loro libertà sia tutta fuori di loro e si esprima nell’uscita con gli amici, nell’aperitivo, nella corsa della domenica, nella routine che anima e crea dinamismo in quelle giornate che svaniscono in un lampo. Gli altri – pochi – ammettono sottovoce e con una punta di vergogna di sentirsi addirittura un po’ meglio, paradossalmente molto più liberi ora, sottratti dal tran tran assurdo e inutile della vita quotidiana al quale sono costretti dal lavoro, dagli impegni, da quel modo di vivere così accelerato. Sono quelli che iniziano a recuperare spazio, a liberare pian piano le loro stanze interiori, a fare pulizia e gettare via mobili vecchi che occludevano ogni angolo rimasto libero. Peccato, penso, fra qualche settimana o forse mese, quelle stesse persone ricominceranno ad accatastare cianfrusaglie, a comprare inutili mobili per riempire ogni angolo di quello spazio che tornerà, man mano, ad appesantirsi e rimpicciolirsi sempre più. Sono quelli che ricominceranno a sentire il peso del superfluo e continueranno a trascinare il fardello dei tanti oggetti indesiderati accatastati nel tempo e nello spazio.
Come tutti, sono anche io confinata a casa ormai da un po’ e, a pensarci bene - a parte qualcosina - posso continuare tranquillamente a svolgere tutte le attività che rientravano nell’esperimento proposto dal nostro amico.
Però mi capita,  delle volte, di ritrovarmi a fissare l’intonaco bianco del soffitto della mia stanza, e di rimanere a fissarlo così per ore e ore, senza riuscire a trovare nessun altro colore al di là di quel bianco assoluto e piatto, senza forma nè sfumature. In quei momenti penso a quanto debba essere difficile continuare ad immaginare il cielo in una stanza, quando quella stanza è una cella di prigione ed il cielo non ti è consentito nemmeno di vederlo. Quanta fantasia e forza interiore deve avere in sé un uomo per riuscire a non dimenticare l’infinita scala cromatica della vita? E ancora, quanto coraggio e quanta dedizione sono richiesti per riuscire a non disperdersi in mille pezzettini dopo un tempo, più o meno lungo, di privazione assoluta? Per continuare a  credere che, anche se non puoi vederle, le stelle sono sempre lì, misteriose e bellissime?
Mi rendo conto che in questi giorni, nonostante le comodità, gli amici via Skype, le cene in famiglia, il camino sempre acceso, ho cominciato anch’io  pian piano a dimenticare qualche colore, a perdere di vista le sfumature, a confondere le stelle fino quasi a non riconoscerle più. Certo, il paragone non regge: troppo azzardato confrontare la nostra situazione di ‘reclusi in casa sul divano’ con quella di chi recluso lo è realmente, in una cella, puntualmente sovraffollata.
Ma forse, e dico forse, questo nuovo tempo che stiamo vivendo, fra la miriade di cose strabilianti che vorrebbe e potrebbe insegnarci, ci offre soprattutto la possibilità di comprendere meglio, e con più intensità, cosa significhi per un uomo essere privato della propria libertà, in tutte le sue possibili declinazioni. 
C’è  la libertà fisica, l’impossibilità di uscire di casa, andare in spiaggia, incontrare un amico per strada. Sappiamo che presto, grazie al cielo, torneremo a godere di tutte queste belle cose: tanto basta per alleggerirci l’animo e farci tornare il sorriso. Ma se a qualcuno quest’idea non dovesse bastare, se il presentimento che ‘tanto, in verità, non è ancora abbastanza’, allora forse si troverà il coraggio di avvicinarsi ad un altro tipo di libertà. Più radicale, vera, assoluta: quella delle nostre menti e della nostra coscienza.
La ricerca di questo secondo tipo di libertà richiede sforzo ed esercizio costanti. Ci mette su un cammino impervio, ponendoci di fronte ai recinti invisibili che circondano le nostre vite, alle prigioni astratte che limitano le nostre esistenze senza che la maggior parte di noi ne abbia la benché minima coscienza. 
Percorrere il cammino che ci conduce verso questo secondo tipo di libertà, ci avvicina inevitabilmente alle vite dei tanti ‘reclusi dalla società’ che vivono in uno stato di privazione assoluta di ogni tipo di libertà, inclusa quella fisica. Capiremmo che la nostra esistenza non è poi così diversa da quella dei tanti soggetti a cui la cosiddetta società ‘civile’ riserva tutta la sua indifferenza o peggio, il suo disprezzo. Ci accorgeremmo, finalmente, che anche a noi di libertà - quella vera intendo - ne viene concessa ben poca e più passa il tempo, e più il suo spazio si riduce, fino a scomparire del tutto.
Se a qualcuno di voi è successo quello che è accaduto a me in questi giorni, se ha avvertito – nonostante tutto -  una inspiegabile sensazione di leggerezza, se ha pensato anche solo per un istante a quanto possa essere difficile continuare a sognare il cielo in una cella, ecco, quel qualcuno potrà forse sentirsi un pò più vicino ai tanti uomini che lottano quotidianamente per conservare, da una stanza buia di qualche prigione, il ricordo delle stelle.
E capirà che la battaglia in verità è per tutti la stessa,  anche se per qualcuno può essere un po’ più dura. 
E allora io mi domando se, dopo tanto sforzo e tanta fatica, alla fine  riusciremo finalmente a veder le stelle?
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